LUCA TELESE – intervista a Luigi Crespi su liberoquotidiano.it

da Le interviste di Libero del 27/06/2016

intervista a Luigi Crespi  «Vi svelo il segreto dietro il miracolo dei capelli del Cav»

«Tutto nacque da uno scontro sui manifesti elettorali truccati…Renzi è solo una copia di Silvio. La Raggi pare libera, non lo è»

di LUCA TELESE

■■■

Luigi: sei stato autonomo, militante, sondaggista, consigliere di Berlusconi, im-putato, spin doctor, pubblicitario..

«Vero. Ma la sliding door del-la mia vita è quella che mi ha tenuto lontano dal terrorismo».

Racconta.

«Maggio 1977, Milano. Fre-quentavo l’area dell’Autonomia Operaia: stavo per entrare nella lotta armata».

Per modo di dire?

«No, per davvero. Tirano una bomba incendiaria a casa mia ma non esplode».

E poi?

«Mi sparano due colpi di pi-stola in via Celentano. Ancora oggi trovo al tatto i due proiettili infilati nel muro».

Perché?

«Furori giovanili: la rabbia, l’antifascismo militante: lambivo Prima Linea. Avevo 15 anni. La mia fortuna».

In che senso?

«Temporeggiavano. Non mi cooptavano perché ero troppo giovane».

Che succede?

«Mia madre, comunista, è molto preoccupata. Una sera mi dice: “Vieni a vedere Pannella in Tv!”».

E ti cambia la vita?

«Ipnotizzato. Contrappone la bellezza dello stare insieme e la non violenza, alla lotta armata. Mi colpisce a tal punto che mi iscrivo al Pci».

Non ai Radicali?

«Psicanaliticamente era un ritorno alla famiglia. Anni dopo Pannella si arrabbierà: “Ma scusa, tu resti incantato da un mio comizio e ti iscrivi al Pci? Sei un assoluto coglione”. Aveva ragione».

Nel tempo del tripolarismo in cui bisogna riscrivere tutte le mappe della politica, per capire che aria tira, ascolto uno come Luigi Crespi. La sua è una storia un po’ americana: inizi ribellistici, giovinezza comunista, vita professionale Berlusconiana, poi tracollo giudiziario, resurrezione. Oggi si occupa “di creare valore attraverso la formazione e la comunicazione”, ma resta un analista politico doc.

Quando esci dal Pci?

«Mai. Sono rimasto nel parti-to fino al 1989, poi si è dissolto».

Inizi a lavorare.

«Vendevo pubblicità, polizze di assicurazione, anche bigiotteria».

E volevi fare il guerrigliero!

«Erano anni straordinari: passavo i week end tra il teatro dell’Elfo, il Lirico e la Palazzina Liberty».

Il salto di qualità?

«Divento direttore marketing di una società di comunicazione della signora Laccisaglia che si occupava soprattutto di moda intima».

E poi?

«Il nipote della proprietaria era dirigente alla Philip Morris. Un giorno mi dice: “Ho un problema in una azienda di comunicazione che si chiama Datamedia”.»

Quale?

«Era diretta da Badalich, un guru di internet, morto giovane. Mi manda lì e passo dalle mutande al destino della mia vita».

Cosa ti inventi?

«La radio stava diventando impresa. Lavoro con gli Hazan, Cecchetto e Volanti, ci inventiamo una indagine che cambia tutto».

Cioè?

«Radar: per misurare l’ascolto delle radio, da cui nascerà Audiradio. Stessa cosa che poi faremo con le tv locali con Tvbank».

Un po’ sondaggista un po’ pubblicitario.

«Nel 1994 arriva l’uninominale e cambia di nuovo tutto. La mia doppia competenza di marketing e politica diventa preziosa».

Cosa ti inventi?

«Media relations, un pacchetto chiavi in mano: 10 milioni di lire per dare ai candidati tutti gli estremi dei loro collegi».

E funziona?

«Inizio regalandolo a Antonio Marano, direttore di Rete 55, Paolo Romani Telelombardia e Vincenzo Vita responsabile mass media del Pci. Tutti e tre vengono eletti. E vendo il pacchetto a tutti».

Risultato?

«Marano mi porta nella Lega e mi presenta a Funari».

Funzioni?

«No! Mi dice: “Sei bravo, ma grasso, assomigli a Ferrara. Perdi 30 chili o non servi a nulla”».

E tu?

«A settembre torno magro: mi scrittura per Funari News. Ospite fisso».

Il cielo con un dito.

«È il 1995 e sto andando incontro alla prima tragedia della mia vita: le bandierine».

Come accadde?

«Mi chiama Emilio Fede: “Mi fai gli exit poll?”. Servono un sacco di soldi, gli dico. E lui: “Ti do 150 milioni”. Gli rispondo che con quei soldi al massimo posso farti gli “in house poll”: telefonate a casa».

Che accade dopo?

«La struttura della mia società è acerba, i soldi pochi, l’entusiasmo politico di Fede incontenibile. Si produce quella sceneggiata che è arrivata da Blob alla Corea».

Racconta.

«Iniziamo al Tg4 con le bandierine azzurre su tutte le regioni, a fine serata sono tutte rosse».

Ah ah ah….

«Il giorno dopo Funari mi licenzia in diretta: “Crespi? Non lo vedrete più”».

Era arrabbiato.

«Vengo massacrato, deriso, perdo metà fatturato. La mia vita è finita».

E come risorgi?

«Berlusconi! Dice: “Quei sondaggi erano la verità: la Sinistra ha fatto i brogli!”».

Lo incontri?

«In campagna elettorale: seguivo Ciaurro a Perugia. Berlusconi tarda tre ore. Intrattengo la platea, e poi lo accolgo. Finisce la serata e mi dice: “Vieni ad Arcore!”».

E tu corri?

«No. Mi pareva una frase di cortesia».

Sei matto?

«Ma era un destino. Nel 1996 affonda una chiatta di albanesi. Lui va lì e piange».

E tu che c’entri?

«Facevo sondaggi in Rai: noto che l’opinione valuta le lacrime positivamente».

E che succede?

«Mi chiama Niccolò Querci: “Il dottore vuole vederla”».

Stavolta ci vai.

«Di corsa. Mi dice: “Noi dobbiamo collaborare. Ho capito che lei vale il giorno delle bandierine: l’unico ad avere il dato giusto”».

Che periodo era?

«Il 1996: Prodi ha vinto. Berlusconi si vede nell’angolo. Faccio con lui la traversata del deserto».

Facevate molti spot.

«Così efficaci che D’Alema si inventò la par condicio per bloccarli».

Ed è qui ti guadagni lo stipendio.

«Gli propongo di sostituire la Tv con campagne di affissione legate a eventi: dei veri e propri tazebao i famosi 6X3. Il suo grafico, Ermolli, metteva tutte queste foto di Berlusconi ritoccando i capelli…».

E tu?

«Mi disperavo: “È ridicolo. La gente la vede calvo e poi sul poster la trova così”.

E Berlusconi?

«Hai ragione. Ma non togliamoli dai manifesti: me li rimetterò io!”».

“Una scelta di campo”?

«Era suo. Non mi è mai piaciuto. La nave azzurra pure, idea sua».

Siamo alle Politiche 2001, cosa gli proponi?

«Un poster con lo slogan: “Meno tasse per tutti”. Lui lo guarda e dice: “Geniale: com’è possibile che in 50 anni nessuno ci abbia pensato?”».

E il contratto con gli italiani?

«È  entrato  nel  mito,  ma l’originalità è stata nella confezione di quell’idea: un imprenditore che sigla un vero contratto con gli elettori. Gli dissi: “Deve firmarlo a San Siro, solenne, davanti a centomila persone”».

E cosa non andò?

«Berlusconi lo raccontò a Vespa che gli disse: “Ottimo. Ma lo firmi da me”. Ero furibondo. Ma è stato meglio Porta a porta. Serviva la tv».

Dopo la vittoria che succede?

«Tutto lo staff si è trovato impegnato in politica, in Parlamento o nel Governo, spostando l’attività da Milano a Roma. Io scelsi di rimanere nella mia azienda».

Ubriacatura.

«Infatti, avevo 40 anni: mi ero scordato da quanto tempo non toccavo terra, non aprivo una portiera, non avevo soldi in tasca perché pagavano per me».

E cosa hai fatto?

«Un enorme passo più lungo del gamba, tento di quotare la mia azienda in Borsa nel boom della new economy, acquisto, inglobo, ma a settembre crollano le Torri Gemelle, e con loro il mio castello di carte».

Sei indagato, nel 2003.

«Vengo arrestato nel 2005, il processo  finisce  nel  giugno 2015».

Conseguenze?

«Una ferita profonda per me e la mia famiglia, in seguito alla quale non ho più coltivato ambizioni imprenditoriali, una lezione durissima ma molte salutare».

Ora che fai?

«Il pubblicitario ma ho iniziato ad occuparmi di formazione».

L’analisi di questo voto.

«Il caos. Vince chi sopravvive. Tutte le parole e gli slogan sono stati usati e distrutti nella crisi della seconda repubblica».

E Renzi?

«Non ha uno storytelling».

Lo aveva, però!

«Secondo me si è ritagliato addosso un clone del codice berlusconiano: il giubbotto di Fonzie invece del doppiopetto, gli 80 euro invece del milione di pensione minima ed il job act al posto del milione di posti di lavoro. Però è una copia».

Ha funzionato…

«Berlusconi disse: “Per colpa dei miei alleati come Fini e Casini non sono riuscito a cambiare l’Italia!”. Matteo ha problemi con la Raggi o con rivali come Cuperlo e Stumpo».

Diverso?

«Dall’epica al grottesco. È il limite di Renzi».

Vincono i leader che usano la seduzione.

«Era l’unico modello di comunicazione politica inventato nel mondo».

“Era”?

«Poi è nato Grillo: un leader informale, carismatico ma divergente. Lui utilizza se stesso come generatore di micro-leader».

Merito suo?

«Di Casaleggio».

Che dubbi hai su Movimento?

«Voi giornalisti esaltate la vittoria ma si sono presentati solo nel 20% dei comuni!».

Cosa vuoi dire?

«Per adesso il M5S di governo è solo una meravigliosa allucinazione».

Però le due amazzoni hanno vinto.

«La Raggi si presenta come libera ma ha bisogno di tanti passaggi di controllo. Sotto la retorica della rete c’è un modello elitario. Ricordati che Casaleggio ha fatto ritirare la Bedori perché era grassa».

Non avrebbe vinto?

«Secondo loro no. Le due paladine possono produrre un “Bandwagon”, effetto emulazione. Ma governare è diverso».

Perché?

«Guarda la Raggi. È bellissima, una icona fantastica. Può fare solo meglio degli altri. Ma sarà misurata sulle aspettative che ha generato non su risultati comparati».

Sei sicuro?

«Siamo nel tempo del racconto. Tutto si può generare perché non c’è memoria: la posta si conserva i post no».

Morale?

«Nel tempo dello storytelling finiscono le appartenenze, i voti sono mobili, è più facile generare aspettative. Ma basta un secondo per deluderle».

Per saperne di più
Caricando...